Sesso e magistero: un dispositivo secolare e i terzi da custodire

Il teologo Andrea Grillo, docente presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo in Roma e l’Istituto di Liturgia pastorale a Padova, ha pubblicato recentemente, sul suo blog, un articolo in cui ci aiuta a rileggere il rapporto tra la trasformazione sessuale oggi in atto e il magistero. Con grande gentilezza e disponibilità ci ha concesso di pubblicarlo anche sul nostro blog.

La trasformazione della sessualità (matrimonio paritario, procreazione responsabile, identità omosessuale, autorità pubblica femminile) è uno dei terreni su cui il cattolicesimo rischia di legare la propria identità alle logiche della società chiusa. Occorre comporre Humanae vitae e Dignitatis humanae.

 

Se osserviamo con cura la storia degli ultimi duecento anni, possiamo notare come le posizioni del magistero cattolico abbiano patito l’impatto con il mondo tardo moderno, nei suoi aspetti più qualificanti: la società aperta mette in crisi le forme classiche di esercizio della autorità, di produzione, le forme e i tempi del vivere, le relazione sessuali e i diversi modi della identità sociale. In tutto questo grande ambito di concezioni, forse quello che fin dall’inizio è parso come prioritario è sembrato il campo della concezione del matrimonio, della vita sessuale e dell’esercizio della libertà. Potremmo dire che l’intreccio tra esercizio della autorità e vissuto della sfera affettiva e sessuale, costituiscono un plesso decisivo per intendere le sfide principali di fronte a cui il cattolicesimo sente di essere sfidato in profondo, dal almeno 150 anni.

Vi è un “filo rosso” che unifica, sotto traccia, l’emergere di un matrimonio “paritario”, la possibilità di una maternità responsabile, l’emergere di orientamenti sessuali omoaffettivi in cerca di riconoscimento sociale, la possibilità che il sesso femminile acquisisca un riconoscimento di autorità.

Ciò che unifica tutte queste diverse fattispecie è un nuovo e spesso inaudito “bisognodi riconoscimento”, che elabori diversamente la correlazione tra cultura e Vangelo, sfuggendo alla trappola di una presunzione pericolosa: ossia quella che pensa di poter identificare in una “cultura contingente” il Vangelo stesso, in forma se non infallibile, quanto meno definitiva. Proviamo a soffermarci brevemente su ciascuno di questi ambiti.

a) La autorità che riconosce le unioni legittime è solo la Chiesa?questo è il timore profondo, che ha inaugurato una serie di Encicliche, che da Leone XIII nel 1880 arrivano fino ad Amoris Laetitia, nel 2016. Il nuovo mondo della “sentimentalizzazione” del matrimonio, che inizia dal XIX secolo, scopre gradualmente la pari dignità di uomo e donna. La forza di questa nuova rappresentazione culturale, nella quale la “patria potestà” viene sostituita dalla “potestà genitoriale” trasforma anche il rito della Chiesa cattolica. Si passa dall’unico anello, che il marito infila nel dito della moglie, allo “scambio degli anelli”. E la benedizione, che da molti secoli riguardava esclusivamente la sposa, diventa “benedizione degli sposi”. La traccia evidente della “pari dignità” della donna ottiene, almeno in termini formali, una completa recezione. La differenza sessuale si coniuga con una eguaglianza battesimale e civile. Qui i passi, almeno sul piano positivo, sono stati compiuti. Sul modo di affrontare le crisi ancora permane un modello di “concorrenza tra ordinamenti giuridici paralleli” che impone spesso la ricostruzione mistificata dei vissuti e la applicazione troppo facile di “fictiones iuris”, per far tornare i conti.

b) Le forme della convivenza, del matrimonio civile e del matrimonio sacramentale elaborano una “sapienza” sul bene, che vede affermarsi forme sempre più sofisticate e sicure di “paternità e maternità responsabile”. L’uso dei “metodi di controllo delle nascite” implica uno spazio di discernimento nel quale la Chiesa ritiene di poter decidere “a priori” su quali siano i metodi leciti e quelli illeciti. GIà con Casti connubii(1930) vi era stata una forte ripresa della esclusiva facoltà di Dio nel decidere sulle nascite. Ma nel 1968 Humanae vitae ritiene di assumere una iniziativa forte contro l’impiego di anticoncezionali che non rispettino il “metodo naturale”. La esclusione di uno spazio prudenziale affidato ai soggetti del rapporto sessuale, e la sua sostituzione con una decisione “in contumacia” da parte del magistero, rende molto difficile distinguere il “bonum prolis” dal “bonum coniugum”, stabilendo un vincolo “naturale” tra atto sessuale e generazione. Non solo in genere, ma in specie. Una comprensione “biologistica” del sesso è ancora alla radice di una posizione troppo marginale, frutto di una teologia da scrivania e non da strada.

c) In modo simile il magistero affronta con diversi documenti, tra gli anni 70 del XX secolo e gli anni 20 del secolo XXI, la questione del riconoscimento dei “vissuti omosessuali”: non solo degli atti, ma delle condizioni e dei progetti. La tentazione di giungere ad una “definizione” del comportamento omosessuale in termini di “autocompiacimento” – universalmente chiuso ad ogni possibilità di autentica relazione, se non in termini di castità – delinea, anche in questo campo, una lettura estrinseca della cultura e la convinzione che la tradizione, con le sue fonti storicamente limitate, sia in grado di venire a capo delle questioni nuove in modo autonomo e incondizionato. Una chiesa che non sa benedire i percorsi, ma solo i soggetti, non è esemplare e fatica a riconoscere la realtà.

d) In modo ancora più evidente, la relazione tra autorità e sesso appare limpidamente limitata nel modo con cui viene impostata (e si crede di risolvere) la questione dell’accesso del “sesso femminile” al sacramento dell’ordine. La dissimulazione dell’immobilismo sotto la figura di una “obbedienza e fedeltà ecclesiale alla volontà del Signore” esclude, a priori, ogni spazio per il riconoscimento della pur minima trasformazione nella identità e nella percezione della “donna”, al di fuori degli stereotipi essenzialistici, spesso tradotti addirittura in “principi”, su cui si sono costruiti grandi pregiudizi, felici barzellette e infelicissime incomprensioni o violenze. La pretesa di risolvere la questione dell’accesso delle donne al ministero ordinato, sostituendo all’argomento “contra naturam” quello ” contra historiam” appare segnato da un tratto ancora più viscerale, sebbene sia in linea con quanto osservato fin qui.

La prudenza ecclesiale, che non può mai venir meno, non si identifica mai con l’immobilismo. La esigenza di trovare risposte adeguate su ognuno di questi piani riguarda esattamente l’esercizio di questa prudenza. Per essere prudenti bisogna evitare di cadere nell’errore di ritenere che l’unica possibilità sia quella di difendere anche le scelte inopportune o sbagliate addirittura. Come Amoris Laetitia ha segnato una tappa nuova rispetto all’assetto magisteriale che da Arcanum divinae sapientiae arrivava fino a FamiliarisConsortio, subendo in modo troppo smaccato la identificazione tra “pastorale” e “gestione giuridica del rapporto”, cosi occorre che la considerazione della sessualità non venga giustificata soltanto in relazione alla generazione (anche se questa non può mai essere esclusa), che la tendenza omosessuale di ogni soggetto non venga semplceimente sottoposta ad una riduzione al peccato, che la considerazione della donna sappia riconoscere e valorizzare anche la donna nella chiamata al carisma profetico, al carisma di governo nonchè al carisma di culto e santificazione. Anche le forme fragili con cui il magistero perpetua la incomprensione del munus docendi, regendi e sanctificandi delle donne riposa su una questione sessuale non sufficientemente elaborata e risolta quando va bene con principi di comodo, quando va male con un carico di violenza indifferente e di discriminazione efficace che è tanto più pesante in chi la subisce quanto meno è consapevole in chi la infligge.

In tutti questi 4 casi, dove di mezzo vi è sempre una visione del significato globale del sesso come “coscienza sessuale dei soggetti”, la obbedienza della teologia al magistero deve diventare responsabile di dare la parola ai “terzi”. Una vera obbedienza, se diventasse indifferenza verso i terzi o riduzione dei loro vissuti a stereotipi senza cuore, diventerebbe un pessimo servizio alla Chiesa. Le famiglie effettivamente esistenti, le forme della generazione responsabile, le relazioni omosessuali e le possibili chiamate femminili al ministero ordinato non possono essere risolte senza una triangolazione strutturale: parola magisteriale, riflessione teologica ed esperienza vissuta si richiamano e chiedono una diversa integrazione, che metta in gioco, contemporaneamente, la capacità magisteriale di ascolto della esperienza per offrire una lettura fedele della parola di Dio, la elaborazione di categorie nuove da parte della teologia, in grado di mediare pensiero, parola e azione e infine la veridicità con cui ogni uomo e ogni donna, fuori da ogni cattura ideologica, interna o esterna alla Chiesa, possa valorizzare in pieno la propria vocazione.

FONTE: blog personale di Andrea Grillo (clicca qui)

 

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