Ordinato Sacerdote nell’agosto 2004 affianca all’attività pastorale lo studio della Morale presso l’Accademia Alfonsiana. Insieme ai corsi di teologia morale frequenta alcuni corsi di pastorale in altre Facoltà Pontificie Romane. Consegue la licenza in Teologia Morale nel Giugno 2010. Nel novembre dello stesso anno inizia il suo Dottorato di Ricerca sempre presso l’Accademia Alfonsiana. Consegue il Titolo di Dottore in Teologia Morale nel Giugno 2014 con una ricerca sul pensiero e la proposta morale del teologo redentorista Domenico Capone (1907-1993). Attualmente è professore straordinario di teologia morale sistematica e Preside dell’Accademia Alfonsiana di Roma.
Al centro dell’annuncio del prossimo Giubileo ormai imminente vi è, come noto, la speranza «racchiusa» nel «cuore di ogni persona come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé» (Spes non confundit, n. 1). “La” speranza che non delude, evidenzia papa Francesco nella Bolla d’indizione, perché come ci aiuta a comprendere la Parola di Dio l’amore del Padre è stato riversato nei nostri cuori in Cristo (cf. Ibid., n. 2), e mai si spegne. Lo Spirito Santo, infatti, tiene accesa come una fiaccola la certezza «che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Ibid., n. 3). «Ecco perché» – apostrofa sempre il Santo Padre – «questa speranza non cede nelle difficoltà: essa si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita» (Ibid.). «In qualunque genere di vita», sottolinea il Papa con sant’Agostino, «non si vive senza queste tre propensioni dell’anima: credere, sperare, amare”» (Ibid.; cf. n. 18). A consolidare esistenzialmente la speranza come virtù e stile di vita vi è poi la pazienza, anch’essa frutto dello Spirito Santo (cf. Ibid., n. 4); e «da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita cristiana sia un cammino» (Ibid., n. 5) aperto ad ogni persona, in ogni epoca. Un pellegrinaggio contrassegnato e sostenuto dall’incontro con il “Volto della misericordia” di Dio (Ibid., n. 6).
Pagine “inedite” sulla speranza
L’invito a «rianimare la speranza» (cf. Ibid., n. 1) che emerge dal testo magisteriale dà occasione di volgere lo sguardo anche allo scritto alfonsiano ove troviamo pagine piene di significato teologico-morale e pastorale sull’argomento. Di particolare interesse è un opuscolo manoscritto – che consta di 7 fogli – lasciato inedito da Alfonso M. de Liguori (1696-1787). Un testo, da lui titolato Della speranza cristiana, conservato oggi nell’Archivio generale dei Missionari Redentoristi e che nella seconda metà degli anni Sessanta dello scorso secolo è stato “restituito” al lettore nel volume II della collana Opere ascetiche (Roma 1962, Edizioni di Storia e letteratura, pp. 201-207).
Il de Liguori, così come si evince dall’epistolario alfonsiano (cf. Lettere, III, 621), «intendeva includere l’opuscolo nella collezione delle opere ascetiche promessa dal Remondini», suo editore veneziano, al quale il 4 settembre 1765 scriveva: «Quando poi avrò speranza prossima dell’Opera ascetica, allora le manderò l’operetta manoscritta contro il libro della Confidenza cristiana, che meglio dovrebbe chiamarsi della Diffidenza cristiana» (cf. Opere ascetiche, II, XXXVII). Va sottolineato che la considerazione di Alfonso sul titolo dell’opera Della confidenza cristiana attribuita a Costantino Rotigni (1696-1776) – uno degli iniziatori del movimento giansenistico in Italia – è “ripresa” all’inizio del “nostro” manoscritto ed è accompagnata dalla seguente giustificazione: «meglio dovrebbe intitolarsi della Diffidenza Cristiana, giacché l’Autore ci priva della certa Speranza, che noi abbiamo della salute e dell’aiuto per conseguirla nella Divina Misericordia, purché da noi non si manchi alla grazia» (Opere ascetiche, II, 201).
La speranza cristiana
La speranza cristiana, scrive il Dottore Zelantissimo, a differenza di quella mondana che «è un’aspettazione incerta del bene sperato, perché si fonda sulla promessa dell’uomo, nel quale può mancare o la potenza o la volontà di attendere quel che ha promesso», è «un’aspettazione certa della vita eterna, come appunto la definisce san Tommaso: Spes est exspectatio certa beatitudinis (II-II, q. 18, a. 4). Certa, perché come insegna lo stesso Santo Dottore, si fonda sulla certezza della Misericordia di Dio, il quale per i meriti di Gesù Cristo ha promesso la salute, e l’aiuto per ottenerla ad ognuno che osserva la sua legge […]. Sicché la certezza della nostra Speranza consiste nell’aiuto promesso da Dio a chi non manca di corrispondere alla sua grazia» (Ibid.).
A rendere fermissima e certa la speranza nella «promessa fatta da Dio a tutti del suo aiuto per ottener la salute» è «il sapere che a nessuno mancherà l’aiuto a salvarsi per parte di Dio, se non manca per parte sua con metter l’ostacolo del peccato». A tal proposito, il de Liguori, richiamando il Concilio di Trento sottolinea: «la nostra speranza è certa a riguardo di tutti (omnes debent) per parte di Dio; e solamente è incerta per parte di noi, che possiamo alla grazia mancare» (Ibid., 203). E aggiunge con san Tommaso: «che la condizione del difetto della nostra debolezza non pregiudica alla certezza della Speranza, che si appoggia alla divina Potenza e Misericordia» (Ibid., 203). «È vero, che sempre debbo temere di poter mancare alla grazia per la mia debolezza; ma in questo timore io ricorro a confidare nella Misericordia di Dio, il quale ha promesso di salvare ognuno, che prega, e spera, e con ciò ho una ragione certa di sperare la salute, sapendo per certo, che Dio non lascerà di salvarmi per sua parte, se prego e spero, e non l’impedisco coi miei peccati» (Ibid., 206).
Al cuore della speranza
Il breve excursus tra le righe del manoscritto alfonsiano ci sembra riconsegnare, tra altri elementi, alcune “particolarità” della proposta teologico-morale e pastorale del de Liguori, potremmo anche dire fondamenti peculiari dell’essere (indicativo) e vivere (imperativo) cristiano. In primis il tema della misericordia che nel divenire del ragionamento alfonsiano è posta a fondamento della speranza certa e che, come leggiamo nella Bolla d’indizione del Giubileo «compie le promesse, introduce alla gloria e, fondata sull’amore, non delude» (Spes non confundit, n. 2). Accanto a questo primo tema, quello del cammino, o se vogliamo dell’impegno personale, quale risposta consapevole, responsabile e libera alla chiamata alla santità. La speranza, leggiamo ancora nella Bolla, insieme alla fede e alla carità «forma il trittico delle “virtù teologali”, che esprimono l’essenza della vita cristiana. Nel loro dinamismo inscindibile, la speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente» (Ibid., n. 18). È la «virtù teologale che sostiene la vita e permette di non cadere nella paura» (Ibid., n. 22), ovvero di riconoscere sempre il volto paterno e misericordioso di Dio, – terza peculiarità – come abbiamo compreso dalla rilettura del testo alfonsiano. Il suo giudizio, «sia al termine della nostra esistenza che alla fine dei tempi […] non potrà che basarsi sull’amore, in special modo su quanto lo avremo o meno praticato nei riguardi dei più bisognosi, nei quali Cristo, il Giudice stesso, è presente (cf. Mt 25,31-46). Si tratta pertanto di un giudizio diverso da quello degli uomini e dei tribunali terreni; va compreso come una relazione di verità con Dio-amore e con sé stessi all’interno del mistero insondabile della misericordia divina» (Ibid., n. 22).
Essere lievito di genuina speranza
«La speranza è quindi necessaria per salvarsi», ma, sottolinea in altro luogo il de Liguori, «non basta a salvarci la sola speranza, bisogna ancora cooperare colle buone opere per acquistarsi la salute eterna» (Istruzione al popolo, par. I, cap. I, § II, n. 24). Teologi, pastori, fedeli in Cristo, il Popolo di Dio nella sua interezza, siamo dunque invitati a fare nostro l’impegno a caratterizzare il Giubileo con «la speranza che non tramonta, quella in Dio». Come auspicato dal santo Padre, questo tempo «ci aiuti a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore» (Spes non confundit, n. 25).
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