Pensare la complessità

a cura di Simona Segoloni
Docente incaricata di teologia del matrimonio presso il Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II” per gli studi su matrimonio e famiglia, ha conseguito il dottorato in teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze con una tesi dal titolo Ph.D. in Teologia sistematica Tradurre il concilio in italiano. L’associazione teologica italiana come soggetto di recezione del Vaticano II, e la laurea triennale in lettere moderne presso l’Università di Perugia. Inoltre, ha già completato il corso di studi per la laurea magistrale in Studi italiani. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Carne di Donna. Raccontando Maria di Nazareth, IPL, Milano 2021; Gesù, maschile singolare, EDB, Bologna 2019; Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi, Cittadella editrice, Assisi 2015.

La domanda sulla legge naturale, per quanto importante e suggestiva, forse è qualcosa che ci poniamo solo in ambito cattolico, almeno in certi termini. Questo è già un indicatore. A volte infatti la sacrosanta tendenza a radicare ciò che affermiamo nella tradizione ci spinge a mantenere categorie che fanno faticare anche noi. Forse allora sarebbe utile sapere e gustare il fatto che la tradizione della chiesa, radicata nella fede apostolica dei primi e delle prime che hanno riconosciuto il Signore e ne hanno trasmesso il Vangelo, è stata straordinariamente creativa e duttile. Questa consapevolezza credo ci libererebbe dalla paura di innovare e abbandonare per riconsegnarci alla libertà di far crescere la tradizione con lo studio, l’esperienza delle cose spirituali e la predicazione (come leggiamo in DV 8).

Alcune domande

Entrando ora nel merito dell’argomento, vorrei porre solo alcune domande. Abbiamo affermato che i fattori biologici sono degli indicatori per la legge morale, anche se non la determinano. La domanda è: chi sceglie quali fattori biologici e con quali criteri? È un fattore biologico infatti anche la morte, la malattia, il fatto che alcuni soggetti umani siano più deboli di altri o meno efficienti sotto il profilo della sopravvivenza. Perché questi fattori biologici non sono indicatori di una legge, ma vengono piuttosto contrastati con la cura, la medicina, l’emancipazione dei soggetti più fragili, la giustizia? Noi sappiamo che Dio è il Dio della vita e dell’amore: di fronte a questo ogni indicatore biologico di morte diventa semplicemente qualcosa da combattere. Non dovrebbe essere questo l’unico criterio – favorire la vita di tutti e tutte quelli in gioco – anche in qualsiasi altra questione, al punto, se necessario, da piegare la biologia con i vaccini, gli antibiotici, gli strumenti architettonici che facilitino tutti, le protesi e via così anche per le questioni di etica sessuale?

Un’altra domanda, già elaborata e in parte risposta dal prof. Massaro, riguarda che cosa dobbiamo intendere per natura quando si tratta di esseri umani, perché è fuor di dubbio che l’essere umano è naturalmente culturale. Nel corpo e nella materia (pensiamo solo al cibo) gli esseri umani esprimono dimensioni spirituali, simboliche, culturali, religiose. Perché il pranzo di Natale non è quello di ogni giorno? Mangiare (e anche procurarsi cibo e produrlo) è un dato biologico, eppure ciò che facciamo nel pranzo di Natale è radicalmente altro da quello che facciamo in un pranzo feriale (se lo facciamo). La biologia è la stessa, ma il gesto è un altro, la realtà è un’altra. Potremmo farci questa domanda anche per altre realtà: partorire e allattare è sempre la stessa cosa? È la stessa cosa quando sai che una volta su due il bambino muore o quando sai che certamente vivrà? È la stessa cosa quando hai partorito dieci volte in quindici anni senza riuscire a fare altro che crescere bambini o quando il bambino e la bambina sarà l’unico o uno di pochi? È la stessa cosa quando devi metterti il neonato sulla schiena e piegarti sui campi dopo una settimana o quando la preoccupazione si concentra sulle fatiche dei risvegli notturni e la mancanza di tempo per sé? Infine è la stessa maternità quando una donna pensa che quello sia il suo destino e l’unica aspirazione possibile da quando vive la maternità come una delle componenti della sua vita?

Le stesse domande si possono fare sulla sessualità. Davvero la sessualità è la stessa (parlo da donna) quando si pensa come un dovere coniugale da tollerare per fare figli e senza dover provare piacere, da quando la sessualità è percepita come luogo di relazione, di espressione di sé e di godimento fisico? La natura biologica dell’atto sessuale resta la stessa, ma la realtà è un’altra. Mi domando se in questa realtà totalmente stravolta dalle intenzioni, dai valori, dai significati, dai comportamenti, i fattori biologici del concepimento non potessero essere reinquadrati, proprio come viene reinquadrato tutto il resto. 

Pensare la complessità

Vorrei inoltre aprire un’altra questione. Una legge naturale genericamente intesa rischia di escludere il femminile. Infatti quando la differenza non viene specificata i nostri contesti culturali procedono secondo un finto neutro che è sempre maschile. Anche quando si pensa una sperimentazione per qualche farmaco o una pratica medica si parte sempre da un corpo maschile. Lo stesso avviene per la morale sessuale. Per esempio, l’utilizzo di metodi naturali o artificiali per la procreazione responsabile non ha un impatto neutro sul corpo femminile (certamente assumere farmaci ha un impatto diverso dall’uso di un profilattico) ma nemmeno sulla psiche (la paura di rimanere incinta nel caso dei metodi naturali può inibire completamente la persona sul piano sessuale e relazionale). Il corpo maschile subisce lo stesso impatto? Per un maschio una gravidanza inattesa o pericolosa per motivi di salute ha lo stesso significato che per la donna incinta? La legge naturale prevede la differenza nella quale si intrecciano corpi diversi, vissuti diversi, bisogni diversi, vitalità diverse?

C’è poi però l’altra faccia della medaglia (che mi fa persino più paura), se facciamo riferimento ai fattori biologici come indicatori per la differenza dei corpi femminili (perché la differenza maschile non viene pensata mai, ma è data come base dell’umano), non corriamo il rischio di fare della maternità un destino ineluttabile e superiore ad ogni altra dimensione della vita femminile? Quale indicatore biologico ci salta agli occhi di più (basta guardare la storia dell’antropologia culturale) che la capacità di fare bambini? Cosa diventa la donna in questo caso? Se piace il genere, per continuare la riflessione, invito alla lettura del romanzo Il racconto dell’ancella (o alla visione della serie televisiva omonima). Ma se la donna è essenzialmente madre, il celibato per il Regno delle donne, la straordinaria rivoluzione cristiana che sottraeva le credenti al destino di una procreazione reiterata, sottomessa e spesso fonte di morte (della donna o dei neonati), non sarebbe da considerarsi contro natura? Oppure se non lo è, perché dovrebbe esserlo ridurre o eliminare le nascite nel caso di una donna (e di una coppia) impegnata sul piano lavorativo, sociale e/o ecclesiale (come lo sono tutte, visto che non è mai esistita donna che non abbia lavorato)? E perché se nel celibato si può interrompere completamente l’attività sessuale e procreativa per la quale il corpo umano è indubbiamente predisposto, non si può decidere su altri aspetti della sessualità a prescindere dagli indicatori biologici o correggendoli?

Sono solo domande senza alcuna pretesa di risposta e con buona probabilità mal poste, ma credo che tutte aiutino a rivelare la necessità che la natura (e quindi la legge naturale) venga pensata in modo complesso, quindi mettendo in gioco più livelli conoscitivi e l’intersezione di diversi elementi. Non farlo ci consegna all’ingenuità o all’integralismo, certamente non ci permette di fare il bene delle persone e quindi si viene meno al comandamento di Dio. Pensare la complessità è la sfida di oggi per chi deve ragionare di qualsiasi argomento, compresa la teologia morale. Il coraggio di affrontare la sfida, senza aver già deciso quale sia la soluzione del problema, è ciò che fa crescere la tradizione cristiana e che le permette di portare frutto qui e ora.

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