Il Piccolo lessico sul fine-vita, pubblicato dalla Pontificia Accademia per la Vita lo scorso giugno, è stato accolto con un certo favore da parte dell’opinione pubblica, che, in diversi casi, ha parlato di “aperture” da parte della Chiesa cattolica.
Con particolare riferimento al tema della Nutrizione e idratazione artificiali (NIA), il Piccolo lessico, se da una parte si esprime in continuità con il pronunciamento della Congregazione per la dottrina della fede in risposta ai quesiti posti dai vescovi statunitensi (1975), ribadendo l’obbligatorietà della nutrizione e idratazione artificiali (NIA) in accordo con il principio di proporzionalità, disponibilità e appropriatezza clinica. Dall’altro chiama in causa l’autonomia di decisione del paziente, il discernimento dei casi concreti e il quadro complessivo della persona, parametri che sembrano propendere verso la possibilità, in alcuni casi, della sospensione di questo trattamento medico-sanitario. Siamo in presenza di nuovi parametri decisionali in ordine alla sospensione della NIA? Quali sono gli accorgimenti da tenere in considerazione per evitare un discernimento che rischia di piegarsi a criteri troppo “soggettivi?”
Alla domanda di Emanuele risponde il professor Pier Davide Guenzi. Nato a Novara l’8 dicembre 1964, ha ottenuto la Licenza in Teologia, specializzazione in Teologia Morale, presso la Pontificia Università Gregoriana nel 1991 e ha conseguito il titolo di Dottore in teologia (PhD) presso la Pontificia Università Gregoriana, con la tesi: Inter ipsos graviores Antiprobabilistas. L’opera di Paolo Rulfi (1731ca.-1811) nello specchio delle dispute teologico-morali del secolo XVIII. Attualmente è Docente Ordinario di “Teologia morale del matrimonio e della famiglia” presso il Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II” per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia. Dal 2018 è Presidente dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM). Mesi fa è stato nominato da Papa Francesco consultore al Dicastero per la Dottrina della Fede. Inoltre, è autore di numerosi saggi e pubblicazioni scientifiche.
Nutrizione e idratazione artificiali come trattamento sanitario
In quanto configurate come trattamento sanitario, e non come una “semplice procedura assistenziale”, le pratiche di nutrizione e idratazione artificiale (NIA) risultano suscettibili di una valutazione i cui elementi sono quelli di un atto medico. Il Piccolo lessico del fine-vita (PLFV) in questo senso introduce anche il rispetto della volontà del paziente «che le rifiuti con una consapevole e informata decisione, anche anticipatamente espressa in previsione dell’eventuale perdita della capacità di esprimersi e scegliere» (PLFV, n. 13, p. 54).
Il caso specifico si lascia analizzare all’interno della criteriologia accreditata per la valutazione degli atti medicali e, pertanto, pone l’attenzione, come evidenziato nel quesito di Emanuele, al criterio di proporzionalità. Tale criterio, anche nei documenti del magistero, si basa su elementi connessi alla effettiva appropriatezza terapeutica nel quadro clinico del paziente (secondo il principio di beneficialità) e al rispetto della volontà espressa da quest’ultimo in merito ai trattamenti cui intende o meno sottoporsi (secondo il principio di autonomia). La questione chiama in causa la competenza dei sanitari per la chiarificazione della situazione concreta, che, occorre precisarlo, non è semplicemente tecnica, ma risulta guidata dall’atteggiamento pratico della tenacia terapeutica per offrire al paziente ciò che risulta opportuno per la sua condizione e, pertanto, comporta anche la necessità di produrre una decisione sulla sospensione o non avvio di trattamenti che, in talune situazioni, sono da ritenersi irragionevoli rispetto agli esiti aspettati. Sul versante dell’autonomia decisionale si evidenzia il dovere di consentire al paziente di esprimere la propria volontà all’interno di un contesto relazionale in cui essa viene a formarsi con riferimento non a situazioni ipotetiche, ma aderenti all’effettivo decorso della propria patologia. Inoltre, per una coerente applicazione del criterio di proporzionalità, occorre considerare che quest’ultimo può mettere in luce il limite di una decisione il cui significato non risulti più comprensibile in riferimento agli specifici obiettivi e all’intenzione che, in una situazione ipotetica o in riferimento a una fase precedente dell’evoluzione patologica, ne avevano giustificato la correttezza.
In questo senso, il Responsum della Congregazione per la dottrina della fede richiamato nel quesito, sancisce di non omettere “in linea di principio” la NIA. Ma, introducendo una serie di variabili situazionali, suggerisce che tale decisione può comportare, come per altri trattamenti, la possibilità di non iniziarla o interromperla, anche sulla base di considerazioni esterne al quadro clinico e alla volontà del paziente, come nel caso della effettiva disponibilità dei presidi medico-sanitari richiesti.
Quanto sostenuto nell’autorevole testo vaticano sembra in accordo con il principio di totalità, radicato in una tradizione teologico-morale di cui si è fatto interprete lo stesso magistero ecclesiale sin dalla metà del secolo XX, anche in riferimento a differenti casistiche medico-cliniche rispetto alle quali esso era stato inizialmente affermato. A riguardo, risulta opportuno il richiamo a un intervento di papa Francesco che rende ragione di una plasticità soggiacente al principio di totalità riconoscendo che «oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona» (Francesco, Messaggio al Meeting Regionale Europeo della “World Medical Association” sulle questioni del “fine vita”, 16 novembre 2017: cfr. PLFV, n. 13, p. 55).
La valorizzazione di una dinamica relazionale
Inoltre occorre sottolineare che, già nella Dichiarazione sull’eutanasia Iura et bona (1980) della Congregazione per la Dottrina della Fede, si era prodotto uno spostamento significativo dalla possibilità/necessità di definire a priori l’ordinarietà o la straordinarietà di un presidio terapeutico all’importanza di far emergere la decisione moralmente rilevante sull’impiego dei mezzi all’interno di una lettura complessiva della situazione specifica, valorizzando anche la concreta dinamica relazionale che chiama in causa i medici, il paziente e il suo contesto di prossimità. Il documento, in riferimento all’applicazione del criterio di proporzionalità, invitava a considerare tutti gli elementi che la tradizione teologico-morale assegnava all’esercizio prudenziale del giudizio morale, senza omettere una iniziale attenzione – per certi versi anticipatrice rispetto al quadro storico-culturale in cui si inserisce il documento – a permettere al paziente di esprimere la propria volontà in merito alle decisioni che riguardano la sua persona.
In questo senso l’attenzione ai criteri del giudizio secondo prudenza (cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, qq. 47-51), comportanti anche la necessità di un chiarimento di quanto oggetto di deliberazione che valorizzi le competenze rilevanti, nel caso qui preso in esame quelle relative alla opportunità o meno di utilizzare il trattamento medico-sanitario della NIA, come opportunamente richiamato nei Piccolo lessico (cfr. PLFV, n. 13, p. 54), sono da ritenere elementi attraverso i quali produrre una decisione non incline né a quel possibile soggettivismo, ventilato dal quesito, né a una meccanica applicazione delle indicazioni normative, evitando di conferire a esse un livello di assolutezza che pure non intendono rivendicare.
La risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede ai quesiti dei vescovi statunitensi può essere compresa come un atto di giudizio prudenziale, pur circoscritto a un caso particolare, quello della somministrazione della NIA a un paziente in stato vegetativo o, come definito in termini clinici, con “sindrome di vigilanza non responsiva” nella quale lo “stato di coscienza” risulta fortemente compromesso o assente. A riguardo tale somministrazione risulta doverosa “in linea di principio” e ugualmente, in talune situazioni “di fatto”, può configurarsi come impropria, secondo una valutazione circoscritta a occorrenti casistiche (alcune delle quali descritte nello stesso Responsum cfr. PLFV, n. 13, p. 56) tali da giustificare sia la decisione di avviare, sia di non avviare o sospendere il presidio della NIA, configurandosi questa scelta come altrettanto “doverosa” quanto la loro applicazione in altre circostanze.
L’insufficienza della sola dimensione etico-normativa
Quanto sommariamente ricostruito permette di collocare in modo più opportuno la valutazione della posizione ecclesiale relativamente alla NIA. Più che parlare di “apertura” o di introduzione di “nuovi parametri decisionali”, siamo di fronte a una ripresa critica, sollecitata dalla evoluzione delle pratiche curative, tesa ad esplicitare tutte le potenzialità valutative insite nei principi etici sedimentati nella tradizione. Ma anche a una più decisa (e coraggiosa) accettazione delle implicazioni del principio di autonomia, quando non declinato come unilaterale espressione della libertà individuale di autodeterminazione, ma nel contesto relazionale in cui prende forma una decisione condivisa sui trattamenti necessari in una particolare situazione. Inoltre, la formulazione tecnica in accordo al dilemma etico sollevato, richiede, come richiamato nel successivo documento Samaritanus bonus (14 luglio 2020) della stessa Congregazione per la Dottrina della Fede, di inquadrare tutte le emergenti questioni nell’orizzonte complessivo di una etica della cura e non a livello della sola dimensione etico-normativa. In tale prospettiva, un imprescindibile compito per la teologia è rappresentato dalla necessità di dare maggior spazio nella riflessione alle angosciose domande di senso che si addensano nelle fasi critiche del fine vita e, pertanto, di configurare le stesse decisioni in accordo ai parametri etici in una prospettiva di più ampio respiro in cui il dovere di cura incontra e assume, come elemento qualificante, l’attenzione a dare parola e a porsi in ascolto dei bisogni e dei desideri della persona ammalata.
Lascia un commento