Gestazione per altri o per sé?

Giuseppe Zeppegno, presbitero dell’Arcidiocesi di Torino, è professore ordinario di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, per la Sezione di Torino.

Lo studente di teologia Lorenzo Montenegro, ponendo al profFaggioni il suo quesito, rileva tra l’altro che le possibilità offerte oggi dalla tecnica sono dai più ritenute lecite anche quando non supportano la natura ma la sostituiscono. Effettivamente questa discutibile opinione è spesso applicata in molti ambiti, tra cui quello dell’inizio vita. Ne è conferma il tanto discusso connubio tra fecondazione artificiale e maternità surrogata attuato per ottenere un figlio anche quando malformazioni o patologie dell’apparato riproduttivo escludono la possibilità di averlo in modo naturale. Le medesime tecniche sono utilizzate anche per venire incontro al desiderio di genitorialità delle coppie omosessuali o dei single. 

Una prassi che preoccupa

Il ricorso all’utero in affitto, è consentito in alcune nazioni, ma è vietato in Italia. L’articolo 12, comma 6 della legge 40/2004 dichiara infatti che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». La normativa nazionale è però facilmente aggirabile ricorrendo al “turismo procreativo”. Ciò nonostante, è necessario ribadire che la legittima aspirazione di avere un figlio – come ricorda l’istruzione Donum vitae, pubblicata nel 1987 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede – non coincide con il diritto al figlio. Volerlo a tutti i costi, significa esercitare un indebito potere sulla vita che è lesivo della dignità umana. Il figlio, infatti, anziché essere accolto come un dono di cui prendersi cura nel rispetto della sua soggettività, diventa un oggetto, un prodotto della tecnica, voluto per la gratificazione del proprio bisogno di genitorialità o come proprio completamento.
Già Pio XII – come ricorda il professor Faggioni – aveva offerto alcune sue osservazioni sul ruolo della tecnica nella vita degli uomini. Nell’enciclica dedicata ai media aveva ricordato, ad esempio, che i mezzi tecnici «esercitano sull’uomo uno straordinario potere e possono condurlo così nel regno della luce, del nobile e del bello, come nei domini delle tenebre e della depravazione, alla mercé di istinti sfrenati». I suoi successori sono tornati a più riprese sull’argomento condividendo l’apprezzamento per le potenzialità offerte dallo sviluppo tecno-scientifico, ma hanno anche messo in guardia dai rischi che il suo procedere senza progetto eticamente validato può provocare al genere umano e al mondo intero.

La posta in gioco

Queste preoccupazioni sono presenti anche in molti pensatori non credenti. Ne sono prova le molte pubblicazioni proposte negli ultimi anni.
Jürgen Habermas, esponente di spicco della Scuola di Francoforte, ad esempio, ha contestato l’uso invalso di manipolare la vita umana secondo logiche di mercato (Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale [2001], 2002). In ambito cattolico è degna di nota tra le altre la riflessione di Alessio Musio, ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano. Nel libro Baby Boom. Critica della maternità surrogata (2021) contesta la tendenza contemporanea a scindere, con l’ausilio delle tecnologie riproduttive e il ricorso alla maternità surrogata, tre funzioni materne che nella naturalità degli eventi competerebbero ad un’unica donna. Si può avere, infatti, accanto alla madre genetica da cui è tratto l’ovulo da fecondare, la madre gestante, deputata a portare a termine la gravidanza e, infine, la madre sociale che, dopo aver commissionato il figlio, se ne prende cura al momento della nascita. Le prime due funzioni materne possono essere determinate dalla solidarietà nei confronti di una donna impedita a procreare. Va però ribadito che essere solidali nei confronti di una persona che è nel bisogno significa rendersi disponibili a donargli qualcosa di sé: parte del proprio tempo, del proprio impegno e dei propri beni. Un figlio però non è donabile perché non è una cosa posseduta, ma è una persona con una propria inviolabile identità che va salvaguardata e non sottoposta all’imperio altrui.
Una gestazione per altri, sia gratuita sia onerosa, riduce inevitabilmente il bimbo a merce barattabile e pone non pochi problemi alle diverse persone coinvolte. Va poi ricordato che chi si presta ad assolvere questo compito, nella maggior parte dei casi, vive in situazioni di estrema povertà e si sottopone per estrema necessità ad un bio-lavoro in cui le facoltà procreative, normalmente ricche di significative emozioni, sono ridotte a mera attività commerciale. Il suo è un percorso non privo di ostacoli, di umiliazioni e di pesanti coinvolgimenti psicologici. È ben diverso, infatti, portare in grembo per nove mesi il proprio figlio e accoglierlo tra le braccia al momento del parto anziché essere ridotta a sorta di macchina incubatrice, utilizzata per condurre a termine la gravidanza di un estraneo. La gestante dovrà amaramente abituarsi a pensare che il bimbo che cresce in lei sia solo una fonte di ricavo che potrà magari vedere solo di sfuggita dopo il travaglio del parto. Gli psicologi rilevano che anche il nascituro è costretto ad una significativa privazione. Gli viene a mancare quel misterioso ma fondamentale scambio comunicativo con la madre, foriero di una serena relazione futura. Anche quanti diventano genitori sociali possono vivere dilemmi difficilmente risolvibili. Ne è prova la drammatica situazione venuta alla ribalta nel novembre 2021. I media hanno reso noto che una bimba, nata con maternità surrogata in Ucraina, è stata rifiutata dalla coppia committente italiana perché non la percepiva come una figlia attesa e desiderata ma come un peso imbarazzante.

Le ricadute politiche e sociali

Le problematicità accennate sono considerate anche a livello culturale e politico. Ne è prova la Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata, firmata a Parigi il 2 febbraio 2016 al termine della Conferenza de La Haye, una organizzazione di difesa dei diritti umani e della famiglia, e sottoscritta dai membri di associazioni femministe, gay e da molti intellettuali sia di destra sia di sinistra. Nel documento si chiede «alla Francia e agli altri paesi europei di rispettare le convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino di cui sono firmatari e di opporsi fermamente a tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata sul piano nazionale e internazionale». Nella nostra nazione inoltre da tempo, è stata presentata una proposta di legge che ha come prima firmataria Maria Carolina Varchi, deputata di Fratelli d’Italia. Prevede la possibilità di considerare la gestazione per altri, reato universale. La Corte europea per i diritti umani dal canto suo il 22 giugno c.a. ha dichiarato inammissibili i ricorsi di alcune coppie omosessuali e di una eterosessuale che avevano denunciato il rifiuto delle autorità italiane di registrare come secondo genitore il partner del genitore biologico di un bambino avuto all’estero per mezzo della maternità surrogata. La decisione è stata motivata dalla constatazione che lo Stato italiano garantisce la possibilità in questi casi di ricorrere all’adozione.

Tecnica a servizio della persona

In conclusione, sembra opportuno sottolineare che la scienza e la tecnica sono preziose risorse a servizio dell’uomo ma che i loro criteri orientativi non possono essere dedotti dalla semplice efficacia o dall’ideologia dominante, ma devono essere sempre posti a servizio della persona che, come direbbe Kant, non può mai essere considerato un mezzo ma sempre e solo un fine degno di rispetto e di tutela.

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