Tommaso Fucci, originario di Margherita di Savoia, è uno studente al quarto anno del ciclo istituzionale di Teologia presso la Facoltà Teologica Pugliese (ITRA di Molfetta).
E’ lui a porre la domanda per l’approfondimento del nostro blog del mese di dicembre, sul tema dell’etica della comunicazione.
Il virtuale è sempre di più parte integrante della nostra realtà poiché i social network assumono un ruolo nella nostra vita personale e relazionale. Il virtuale non è in antitesi con il reale, ma può essere considerato una sua parte essenziale. Se il reale ha una sua struttura oggettiva che non può essere confusa o sostituita da una riproduzione virtuale, quest’ultimo è quella parte di realtà in cui siamo maggiormente in sintonia con l’immaginazione. Nei social network noi sviluppiamo un’identità virtuale, dove siamo un po’ più come vorremmo essere e la rete lo permette, almeno inizialmente. Il fatto di assumere diverse identità e ruoli, potrebbe creare una dissociazione, che può condurre a percepirci come persone diverse nei differenti contesti, rischiando una incomunicabilità fra identità virtuale e reale. Tuttavia comunicare è un’attività alla base dell’agire dell’uomo. Secondo la teoria standard indica un trasferimento intenzionale di informazione tra un emittente e un ricevente. In senso etico, comunicare significa creare e salvaguardare uno spazio comune e di intesa tra gli interlocutori. Ma spesso si commettono degli abusi di comunicazione, come lo scambio di materiale pornografico o un eccessivo uso diffamatorio, che in alcuni casi rappresentano il materiale più ricercato e utilizzato. Come possiamo allora comunicare in modo etico ed efficiente i contenuti che, come Chiesa, potremmo proporre?
Alla domanda di Tommaso risponde Fra Marco Valletta.
Esperto in comunicazione e marketing, giornalista pubblicista, Fra Marco è Responsabile dell’ufficio comunicazione dei Frati Minori di Puglia e Molise.
Viviamo in un’epoca in cui il virtuale non è più una semplice appendice del reale, ma una dimensione fondamentale della nostra esistenza. Ogni giorno, tramite i social network e le piattaforme digitali, costruiamo relazioni, esprimiamo idee e, talvolta, sperimentiamo nuove versioni di noi stessi. Questo mondo virtuale, che si presenta come uno spazio di infinite possibilità, ci offre nuove modalità per connetterci con gli altri e per immaginare un futuro diverso. Tuttavia, porta con sé anche sfide complesse, soprattutto quando il confine tra ciò che è reale e ciò che è virtuale diventa sempre più sottile.
Per molti, l’identità virtuale è una sorta di specchio alternativo in cui si riflette non solo ciò che siamo, ma anche ciò che desideriamo essere. Se da un lato questo permette di esplorare nuove parti di sé, dall’altro il rischio di una dissociazione tra l’identità reale e quella virtuale è concreto. Quando l’immagine che mostriamo online si allontana troppo dalla nostra realtà, possiamo trovarci di fronte a sentimenti di alienazione o a una perdita di autenticità. Il virtuale, in questo senso, non è intrinsecamente buono o cattivo; è un’estensione della nostra realtà che richiede attenzione, consapevolezza e “radici” etiche per essere vissuto in maniera costruttiva.
La Chiesa, che ha sempre avuto il compito di accompagnare l’essere umano nei processi di trasformazione culturale, non può ignorare questa dimensione. Essere presente nel mondo virtuale non significa solo adattarsi ai nuovi strumenti tecnologici, ma assumere un ruolo guida nell’educare a un uso etico del digitale. Questo non è un compito semplice, soprattutto in un contesto in cui il virtuale può essere sia un ponte che collega le persone, sia una barriera che le separa. Il linguaggio digitale, infatti, può essere utilizzato per creare relazioni autentiche, ma anche per diffondere odio e comportamenti dannosi, capaci di ledere la dignità umana come il cyberbullismo o la disinformazione.
La comunicazione, in questa prospettiva, diventa una sfida centrale. Non si tratta semplicemente di trasferire il messaggio evangelico su nuove piattaforme, ma di ripensare il modo in cui questo messaggio viene trasmesso. La Chiesa deve trovare un equilibrio tra la fedeltà ai suoi valori e la capacità di parlare alle persone nel loro contesto quotidiano. Autenticità e vicinanza sono fondamentali: il linguaggio utilizzato non deve sembrare distante o artificioso, ma deve rispecchiare le esperienze e le domande profonde degli individui. È necessario che la Chiesa si impegni non solo a educare i giovani, spesso più abili nell’uso delle tecnologie, ma anche gli adulti, che possono trovarsi impreparati di fronte ai cambiamenti del mondo digitale.
Essere presenti nel virtuale significa anche impegnarsi attivamente nel dialogo che avviene online. Non si può rimanere spettatori passivi di un ambiente spesso dominato da conflitti e negatività. La rete è invasa da contenuti distruttivi, ma proprio per questo può diventare un terreno fertile per proporre narrazioni che ispirino e che offrano speranza. La Chiesa, con la sua lunga tradizione di testimonianze e storie di fede, dispone degli strumenti adeguati per bilanciare questa tendenza, mostrando che è possibile costruire relazioni basate sulla solidarietà, sulla comprensione reciproca e sulla ricerca del bene comune.
Le sfide etiche che emergono dall’ambiente digitale sono numerose, ma non devono essere percepite come ostacoli insormontabili. Al contrario, possono diventare opportunità per riflettere su come il messaggio cristiano possa essere trasmesso in maniera autentica e rilevante. La polarizzazione delle opinioni, la diffusione delle fake news e i comportamenti dannosi online richiedono un impegno costante nel promuovere un uso responsabile delle nuove tecnologie. In questo contesto, la formazione ad un uso responsabile del digitale è essenziale. Non si tratta solo di fornire strumenti tecnici, ma di educare alla consapevolezza, aiutando le persone a discernere tra ciò che costruisce e ciò che distrugge.
Guardando al futuro, la Chiesa è chiamata a integrare il virtuale nella sua missione pastorale in modo più strutturato e innovativo. Le piattaforme digitali non devono essere percepite come un semplice strumento, ma come un vero e proprio spazio di incontro, dove fede e cultura possono dialogare. La preghiera, le riflessioni spirituali e le testimonianze di fede possono trovare un nuovo respiro in un ambiente che, se ben guidato, può trasformarsi in un luogo di crescita umana e spirituale.
In definitiva, il virtuale rappresenta una grande opportunità per la Chiesa: un’opportunità per ampliare il raggio d’azione del messaggio evangelico, per costruire una rete di relazioni autentiche e per accompagnare l’umanità in una fase storica critica segnata da profonde trasformazioni. Tuttavia, perché questa opportunità possa essere pienamente colta, è necessario un impegno costante nel promuovere una cultura del dialogo, della responsabilità e della solidarietà. Solo così il mondo digitale potrà riflettere non solo i nostri desideri e le nostre ambizioni, ma anche i nostri valori cristiani più profondi ed aiutarci a creare un mondo che non perda di vista il bene comune.
Per approfondire:
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, La Chiesa e Internet (22 febbraio 2002).
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, Etica nelle Comunicazioni Sociali (4 giugno 2000).
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