Emergenza migranti: l’etica di una “buona” politica

Diamo inizio, in questo mese di maggio, ad una riflessione su uno scottante tema di attuali: emergenza migranti. C’è una dimensione etica che la politica è chiamata a salvaguardare nella sua azione? In che modo?

Protagonisti di questo primo approfondimento sono lo studente Gabriele Graniello che pone due domande al prof. Rocco D’Ambrosio.

Gabriele Graniello, studente al IV anno di teologia presso l’Istituto Teologico Santa Fara di Bari, è frate minore della provincia religiosa di Lecce. Nella fraternità di Castellaneta, si occupa del percorso Oikos Young dedicato all’ecologia integrale.

Presbitero dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, è professore ordinario di Filosofia Politica presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma. E’ presidente di Cercasi un Fine APS. Ha pubblicato diversi saggi su temi politici.  

www.rocda.it; www.cercasiunfine.it

Dinanzi all’emergenza migranti quali sono le visioni e azioni politiche e sociali che nel dibattito pubblico rischiano di annullare principi di solidarietà internazionale di rispetto del “diritto ad emigrare”?

Prima delle azioni vorrei iniziare con le parole, le dichiarazioni ecc. Credo che il ritmo sia settimanale, a volte giornaliero. Gli storici, un giorno, ci diranno se si tratta di un piano culturale programmato per contenuti e scadenze oppure improvvisazioni da cabaret politico, a metà strada tra il dire quello in cui si crede e il parlare alla “pancia” del Paese. Qualche giorno fa il ministro Lollobrigida: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada” (Ansa, 18.4.23). Il ministro Piantedosi forse è il primo in classifica per affermazioni al limite della costituzionalità; per esempio: “L’opinione pubblica favorevole incentiva [gli sbarchi, ndr]. Si percepisce all’estero il fattore attrattivo dell’apertura di questo Paese verso l’accoglienza. Cosa che non accade, per esempio, in Grecia” (Corsera, 25.3.23); “L’unica cosa che va detta ed affermata è: non devono partire. Non ci possono essere alternative. Noi lanciamo al mondo questo messaggio: in queste condizioni non bisogna partire” (Askanews, 26.2.23). La lista continua, purtroppo. Alle parole seguono i fatti, che per la politica sono azioni pubbliche, regolamenti, decreti, leggi ecc. In essi, per quanto riguarda l’attuale governo si può a ragione affermare, che diverse volte il principio della solidarietà con gli ultimi, i poveri e i migranti spesso è trascurato, se non proprio tradito; fino ad arrivare a negare i basilari fondamenti di umanità come il dovere di salvare chi è in pericolo, come nel caso dei soccorsi in mare. Naturalmente questa negazione non scritta ma è di fatto in tanti comportamenti, di cui anche la magistratura si sta interessando.

Dal punto di vista teologico quale dovrebbe essere l’orizzonte della nostra riflessione e le “buone pratiche etiche” da attivare? Le nostre comunità cristiane si possono definire “comunità accoglienti ed inclusive” rispetto ai migranti?

Forse ci siamo abituati, in senso negativo, alle parole di papa Francesco sull’accoglienza degli ultimi, dei poveri e dei migranti. Ma lui continua a lasciarci la domanda, sull’accoglienza degli ultimi, poveri e migranti, prima di tutto a preti e vescovi cattolici, a fedeli laici impegnati, a tutti i credenti in Cristo e – anche – ad altri credenti e uomini e donne di buona volontà. Lascia la domanda a tutti.

Ne ha diritto? Fa bene? Queste sono domande di quelli che vogliono insegnare al papa il suo mestiere. Le domande “lasciate”, invece, hanno una carica profetica che può scuotere solo chi non è saturo di risposte, saccenti e spocchiose, rancorose ed escludenti.

Le domande sono “lasciate” in contesti che vedono luci e ombre su cui è imperativo morale riflettere. Le luci: una straordinaria capacità di pronto intervento, mobilitando operatori, risorse e mezzi senza nessuna remora per accogliere i migranti, da parte di credenti e persone di ogni cultura e sensibilità sociale; un’attenzione di diverse istituzioni pubbliche, specie locali, al fenomeno migratorio; una lenta trasformazione da mentalità chiusa e egoista a mentalità aperta e accogliente, un po’ più saggiamente globale.

Le ombre: il razzismo e le tante forme di chiusura crescenti; i luoghi comuni sciocchi e infondati sulle migrazioni; lo scaricabarile nell’assumersi le responsabilità dell’accoglienza e dell’inserimento dei cittadini stranieri; la cultura razzista di settori politici, di destra e non; la resistenza di alcuni ambienti culturali e politici – quali pezzi di sinistra e dell’ambiente cattolico – a promuovere e testimoniare accoglienza e solidarietà. Fino ad avere politici di sinistra che sono più razzisti di altri o pastori cattolici che predicano contro i migranti. In questo quadro, per quanto non possa fare più tanto “notizia”, il papa continua a “lasciare” le sue domande.

Esiste anche in Italia una forma di fede cattolica, che è infastidita da queste domande. È quella pseudo religiosità nutrita di ideologie destrorse e razziste e di una religiosità popolare che ha più di magico e superstizioso che di autentica devozione. Riguardo alla ideologizzazione della fede: la tendenza è presentare un sapere compatto, indiscutibile, che è distintivo della propria identità proprio perché viene accettato in toto e senza discutere; che non permette domande e non tollera dubbi o sottolineature diverse; che mortifica la ricerca intellettuale in schemi rigidi e sterili. Sulla religiosità popolare: se la devozione popolare non è autentica riduce la fede a spettacolo liberatorio; preferisce un dio usato come dispensatore di guarigioni e non Dio Padre; insegue gli atti magici, con richieste di denaro per creare vere e proprie imprese a fine di lucro, spesso anche mafiose.

Su queste derive cattoliche, tutti, pastori e laici credenti, abbiamo il dovere, secondo le personali responsabilità, di dichiarare che tutto questo è negazione del Vangelo di giustizia e pace. Dalle prime comunità cristiane a don Tonino Bello, dai santi della carità ai santi ultimi, Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, la linea è sempre la stessa, cioè quella del Buon Samaritano, che soccorre, a prescindere da fede e cultura del malcapitato o povero. Essere cristiani vuol dire farsi prossimo: questo non è un invito, ma è una opzione fondamentale; chi la nega non è cristiano.

“L’esclusione dei migranti – ha detto papa Francesco – è schifosa, è peccaminosa, è criminale”. Se condividiamo ciò non possiamo far altro che, con il cuore e la mente, culturalmente e politicamente, trovare una soluzione alle migliaia di persone che stanno sbarcando. Perché questa è la fede cristiana: non inneggiare a chi nega la dignità del povero e bisognoso, ma rimboccarsi le maniche per far sentire a casa chi fugge per fame di pane, di libertà e di sicurezza ambientale e sociale. Non a caso don Tonino Bello ripeteva: “Non sono i coperti che mancano sulla mensa; sono i posti in più che non si vogliono aggiungere a tavola”.

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