Dieci ragazze per me… Le tante domande sulla poligamia

La domanda di questo mese è posta da padre François Menyeng, sacerdote della comunità dei pallottini. Nato il 09.06.1994 a Ntouessong in Camerun, è stato ordinato il 09.07.2022 nella Basilica Maria Regina degli apostoli di Yaoundé. Ha lavorato come vicario parrocchiale e nella pastorale giovanile nazionale in Camerun. Attualmente presta il suo servizio nella commissione economica internazionale della provincia Santa Trinità del Camerun e nell’ufficio della comunicazione; è vicario parrocchiale alla parrocchia della Natività della Beata Maria Vergine e San Lorenzo a Ferrara e responsabile della pastorale giovanile parrocchiale. È iscritto alla Licenza in teologia morale presso il Pontificio Istituto Accademia Alfonsiana di Roma.

La domanda…

L’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris laetitia ha rappresentato, sicuramente, un ulteriore e decisivo passaggio nel cambio di paradigma inaugurato dal Vaticano II su matrimonio e famiglia. Rappresenta anche, come alcuni sostengono, un “punto di svolta per la teologia morale”? Se sì, come può essere affrontata la questione della poligamia in alcuni paesi del continente africano? Recentemente, l’istruzione Dignitas infinita ha affermato che la poligamia «è contraria alla pari dignità delle donne e degli uomini» (n. 45). Possiamo rintracciare nell’esortazione qualche indicazione su questo tema? Qual è la strada che Amoris laetitia propone per uomini con 2, 4, 8 o 10 mogli che vogliono vivere e impegnarsi da cristiani? Ci sono vie perché queste persone possano accedere, “in alcuni casi”, ai sacramenti o perché possano partecipare ad alcuni incontri parrocchiali e assumere delle responsabilità?

La prima risposta alla domanda di François viene dalla professoressa Simona Segoloni Ruta. Docente incaricata di teologia del matrimonio presso il Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II” per gli studi su matrimonio e famiglia, ha conseguito il dottorato in teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze con una tesi dal titolo Tradurre il concilio in italiano. L’associazione teologica italiana come soggetto di recezione del Vaticano II, la laurea triennale in lettere moderne e la laurea magistrale in Studi italiani presso l’Università di Perugia.  Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Carne di Donna. Raccontando Maria di Nazareth, IPL, Milano 2021; Gesù, maschile singolare, EDB, Bologna 201.

La poligamia è un tema molto delicato perché profondamente radicato nelle culture e quindi difficile da cogliere come contraddittorio per la fede cristiana e per la morale che ne consegue. Qualcosa di simile accade nei paesi di cultura occidentale con la lotta per i diritti femminili: dovrebbe essere evidente che la parità di diritti per tutte le persone (anche quelle di sesso femminile) e la promozione di eguali possibilità di accesso ai beni che servono per vivere (dalla parità di trattamento economico alla tutela dell’integrità fisica) sono beni in linea con il Vangelo e quindi cari al vissuto cristiano, ma questa chiarezza non si dà: molto spesso si giustificano trattamenti impari e vere e proprie ingiustizie in forza di un presunto ruolo o di una presunta natura femminile che non avrebbe bisogno di quello che viene garantito agli uomini. In sintesi: in nessuna cultura, quando ci sono in gioco categorie e rapporti sociali radicati a fondo nelle tradizioni dei popoli, è facile discernere ciò che è cristiano e cosa non lo è. La difficoltà aumenta quando l’insegnamento ufficiale della chiesa diventa particolarmente duro verso alcuni tipi di situazioni (la convivenza in Europa come la poligamia in Africa) vietando l’accesso ai sacramenti, mentre non è così duro verso altri comportamenti, per esempio non si vietano i sacramenti a chi compie abusi psichici o fisici su mogli e figli. Viene da chiedersi perché si è indulgenti verso alcuni comportamenti evidentemente peccaminosi (come la violenza) e non verso altri comportamenti che forse indicano solo dei costumi culturali (per esempio la poligamia o la convivenza)?

Credo che tutti questi problemi (e altri) complichino il quadro e lascino aperte molte domande. Amoris laetitia cita la poligamia una sola volta, al numero 53, proprio insieme alla convivenza, mentre elenca una serie di situazioni che sarebbero minacciose per la concezione della famiglia cristiana. Come possiamo affrontare il problema?

Credo che la prospettiva che ci può aiutare non sia domandarci se la prassi della poligamia rispetti l’unità del matrimonio o l’unicità del rapporto sessuale con un solo partner, o meglio che il punto non sia domandarci solo questo. Dobbiamo domandarci piuttosto se la poligamia tutela tutte le vite che sono in gioco allo stesso modo e anche se la tutela che eventualmente garantisce non sia dovuta ad un sistema sociale iniquo per il quale, per una donna, è sempre meglio sposarsi (anche se seconda, terza, quarta moglie) che scegliere di non farlo (sempre che possa davvero scegliere). Vengo alla prima domanda: la poligamia rispetta le vite delle donne come quelle degli uomini? Hanno le stesse possibilità e gli stessi diritti? Hanno la stessa libertà (anche sessuale)? Inoltre: tutte le mogli hanno le stesse opportunità e con esse i loro bambini, o la prima moglie ha tutele, poteri, e possibilità (insieme ai propri figli) che le altre non conoscono?

Se la risposta è (e credo che necessariamente dobbiamo riconoscere che sia così) che nell’istituto matrimoniale poligamico non tutte le vite vengono tutelate allo stesso modo, allora abbiamo un primo problema che però ci porta alla seconda domanda. Cioè: può essere che in un contesto fortemente discriminante per le donne, la poligamia, nonostante le ingiustizie possibili, sia comunque un bene? Certo, per fare un esempio di altro tipo, in alcuni contesti potrebbe essere un bene seguire una dieta povera di vitamine, quando l’alternativa fosse non mangiare, ma verrebbe da chiedersi se non fosse il caso di realizzare una maggiore giustizia alimentare e risolvere il problema alla radice. Per tornare al nostro tema, se i contesti culturali dessero alle donne le stesse possibilità (in ogni ambito) che hanno gli uomini, la poligamia sarebbe ancora una tutela (ammesso che lo sia) per le persone?

Vengo ora all’ultima questione posta: si può essere poligami ed accedere ai sacramenti o impegnarsi nella chiesa? Ecco questa è una domanda che non può non tener conto dei contesti culturali e delle condizioni di vita reale dei popoli e delle persone. Tenendo conto di queste, la risposta non può che essere: dipende dal perché una persona è poligama, da come si comporta e da cosa desidera. Se infatti una persona poligama si converte al cristianesimo, abbandonare alcune delle proprie mogli potrebbe metterlo a posto con la legge ecclesiale ma non con quella di Dio, se questo abbandono poi significasse per mogli e figli povertà, vergogna o peggio. Non vedo dunque il motivo per negare sacramenti e impegno ecclesiale a chi si preoccupa di tutelare tutte le vite cui si è legato e di cui si è reso responsabile. Se è invece una persona cristiana che sceglie direttamente di non rispettare l’unicità del matrimonio, cioè sposa più mogli dopo la conversione, allora bisognerebbe capire le motivazioni, quanto pesano i condizionamenti familiari o culturali, quanto quelli economici o di altro tipo. Credo che in questi casi, come per i divorziati risposati di cui si occupa Amoris laetitia, valga il criterio di un accurato discernimento e di un percorso che permetta di chiarire (anzitutto alla persona) motivazioni e valori in gioco. Vale però, in questo caso come in tutti gli altri, quella che mi sembra una specie di cornice a tutto il discorso: fino a che le donne non avranno accesso a tutti i beni (educativi, economici, lavorativi, politici, sociali, ecclesiali) nello stesso modo degli uomini, sarà difficilissimo discernere il bene in queste situazioni in cui le pratiche umane (in questo caso la poligamia ) sorgono per rispondere a bisogni dettati da situazioni difficili (un po’ come nei nostri contesti le donne accettano di lavorare a salari più bassi degli uomini: seppure profondamente ingiusto è certamente meglio che non lavorare e non poter essere autonomi). La disparità fra i sessi confonde tutto e complica tutto: forse dovremmo cominciare da lì.

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