Impegnatevi a «fare coro»

Note a margine del discorso di papa Francesco ai rettori, docenti e studenti delle Università e delle Istituzioni Pontificie romane del 25.02.2023

 

a cura di Giorgio Nacci

Docente incaricato di teologia morale e metodologia teologica presso l’ITRA della Facoltà Teologia Pugliese

Tutti, almeno una volta, abbiamo goduto durante un’esibizione canora di un coro professionista. Goduto dell’armonia ascoltata, della bellezza delle voci risuonate e di quanto esse hanno provocato dentro di noi. Pochi, forse, conoscono quanto sia faticoso – per un coro e per il suo direttore – ottenere il risultato di questa armonia: molto studio personale e in gruppo, tanto tempo e tanta pazienza, maturazione nella capacità di ascoltare una voce diversa dalla propria e di mantenerne la diversità nel ritmo. Non c’è armonia senza diversità.

A questa armonia e bellezza – che è dunque anche fatica – ha richiamato papa Francesco nel suo discorso ai rettori, ai docenti e agli studenti delle Università e delle Istituzioni Pontificie in Roma lo scorso 25 febbraio: «Impegnatevi a “fare coro”». Sono almeno tre, in questo discorso, i luoghi di esercizio in cui poter crescere in questo impegno.

L’armonia della riflessione teologica

Il primo è l’impegno per l’armonia nella riflessione teologica. Citando Jhon Henry Newman il Papa ha ricordato che l’università deve essere scuola di armonia tra diversità perché essa è «il luogo dove diversi saperi e prospettive si esprimono in sintonia, si completano, si correggono, si bilanciano l’un l’altro». L’invito è chiaro: uscire da una logica di piatta uniformità di pensiero per conquistare un paradigma capace di mantenere in tensione (cioè in relazione) polarità diverse. Dovremmo chiederci quanto, nelle nostre aule accademiche, docenti e studenti si allenino alla fatica di assumere punti di vista e saperi diversi dai propri, quali luoghi di confronto sono previsti per dare spazio a prospettive di ricerca divergenti, qual è il livello di dialogo transdisciplinare attivato nei nostri percorsi. La teologia, pur nell’umiltà di una riflessione che è innanzitutto ricezione e accoglienza della verità rivelata, deve rinunciare a difendersi dai conflitti, dalle aporie e dalle tensioni generati da formulazioni teoriche che oggi, sia per linguaggio che per argomentazione razionale, non riescono più a tradurre o a rendere efficace l’ascolto del Vangelo. Essa è chiamata piuttosto ad assumere questi conflitti e a renderli punti di svolta per l’annuncio della verità nel mondo contemporaneo, possibili tracce per elaborare nuovi paradigmi. Chi studia teologia deve esplorare i luoghi di frontiera, accettando di abbandonare la staticità del “tavolo di studio” e percorrere sentieri nuovi, oggi spesso intuiti da altri (cf. Francesco, Lettera al Gran Cancelliere della Pontificia Università Cattolica Argentina). Non è forse questo l’atteggiamento che ci insegna Gesù nel dialogo con la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-30)? Un primo passo potrebbe essere quello di iniziare a rendere i nostri percorsi di dottorato più “aperti” e qualificati, ad esempio creando dei veri e propri gruppi di ricerca in collaborazione con altre istituzioni accademiche (non solo facoltà teologiche).

L’armonia interiore            

Il secondo luogo di esercizio è l’impegno per costruire l’armonia interiore di chi fa ricerca teologica. Il Papa qui si richiama ad un concetto già espresso in un’altra occasione (cf. Discorso alla Delegazione del Global Researchers Advancing Catholic Education Project): bisogna formare insieme il cuore, la mente e le mani. L’immagine utilizzata richiama quanto affermava già il pedagogista e filoso svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827) il quale, in un periodo in cui si delineavano i primi accenni della necessità di un’educazione integrale, elaborava un sistema educativo centrato sull’armonico e graduale sviluppo di cuore, mente e mani, ovvero della dimensione relazionale-affettiva, dell’intelligenza e dell’operatività-arte-corporeità. Francesco si sofferma sul ruolo delle mani. Esse hanno una particolare proprietà: nel loro “prendere” (atto materiale) e dal modo con cui esercitano questa azione aiutano a “comprendere” (atto del pensiero). Altrettanto pregnante è il riferimento alle mani del Cristo le quali «prendono e ricevono», «prendono e ringraziano», perché tutto è dono del Padre. Personalmente, ritengo questo passaggio gravido di una indicazione importante: chi studia teologia oggi non deve tralasciare l’esperienza come punto di accesso per una comprensione maggiore della Rivelazione e la vita, nel suo divenire, come autentico luogo teologico, prendendo «sul serio il principio dell’incarnazione» (Veritatis gaudium, n. 5). La necessità di questa armonia interiore, a mio avviso, chiede di porci una seria domanda: i nostri percorsi accademici sono davvero luoghi di integrazione personale? Rispondervi esige la disponibilità a rivedere modalità didattiche e piani di studi, al fine di abbandonare un modello formativo esclusivamente centrato sulla trasmissione di contenuto per adottare un modello pedagogico integrato, capace di favorire un pensiero aperto, il dialogo a tutto campo, l’esercizio concreto della transdisciplinarità (Veritatis gaudium, n. 4).

L’armonia tra le istituzioni

Infine, il Papa richiama un terzo impegno, quello di favorire un processo di armonia tra le diverse componenti delle comunità accademiche e tra le istituzioni: «urge avviare un processo che porti a una sinergia effettiva, stabile e organica tra le istituzioni accademiche». Certamente l’esortazione vale per le realtà romane, alle quali Francesco assicura l’apporto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ma questo processo può, anzi, deve riguardare anche tutte le altre realtà accademiche: basti pensare a quelle Facoltà teologiche che hanno al proprio interno diversi Istituti, o al rapporto che intercorre tra essi e gli Istituti di Scienze religiose. Questa “armonia” richiesta dal Papa invita a porsi delle domande per il futuro, a partire dalla tendenza incontrovertibile di una diminuzione di studenti e docenti, per non arrivare a dover inesorabilmente farsi gestire dall’emergenza, più che gestirla. Essere miopi dinanzi a quanto sta avvenendo significa bypassare la possibilità di riorganizzare e reinvestire le risorse e le possibilità ancora oggi disponibili per gestire il cambiamento. Chi insegna teologia dovrebbe essere maestro nell’anticipare i cambiamenti, perché capace di ascolto dello Spirito e del discernimento che egli sempre chiede nelle diverse circostanze della storia. Si capisce così l’invito del Papa a «non accontentarci del fiato corto», evitando di giocare sempre in difesa. La preziosa eredità di ogni istituzione, qualsiasi essa sia, se resta autoreferenziale, muore; se messa in circolo e valorizzata, resta viva, perché si evolve, cambia ed è in grado di parlare ancora oggi.

Siate uomini e donne dedicati allo studio

Il discorso di Francesco iniziava con un riconoscimento («siete donne e uomini dedicati allo studio») che vorrei però trasformare in un auspicio: siate donne e uomini dedicati allo studio. Sì, dedicati, cioè messi a disposizione nella totalità di ciò che siete (mente, cuore, mani), nella totalità del vostro tempo, in un atteggiamento di diaconia allo Spirito che oggi chiede un radicale cambiamento nel modo di fare teologia.  Nella Chiesa non si studia per fare carriera, ma perché si riconosce la riflessione intellettuale come una alta e grande forma di carità pastorale, finalizzata a pensare nuove strade per annunciare la gioia del Vangelo, nuovi percorsi nei quali le donne e gli uomini di oggi possano incontrare il mistero pasquale di Cristo anche in contesti impensabili (cf. Lumen gentium, n. 16). Una carità possibile nelle nostre istituzioni accademiche solo quando le istituzioni stesse e i loro studenti e docenti non diventano «mai solisti senza coro».

 

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