Ci vuole coraggio… mio fratello che guardi il mondo!

Gianpaolo Lacerenza, Ministro provinciale dei Frati minori cappuccini di Puglia, è docente di teologia morale presso l’Istituto teologico Regina Apuliae di Molfetta e l’Istituto teologico Santa Fara in Bari, Facoltà Teologica Pugliese.

Ci vuole coraggio/ a trascinare le nostre suole/ da una terra che ci odia/ ad un’altra che non ci vuole. È l’andante drammatico di una canzone del noto cantautore Ivano Fossati, il cui titolo è Pane e Coraggio (2003). Narra l’arrivo “sul filo della frontiera” della bella Italia di una famiglia migrante. Sono in una “barca troppo piena” e passano dalle “ondate del buio mare” a quelle degli “sguardi” e degli “oltraggi” da sopportare. La meta è illusione, non più sogno. Mentre ascolto questa opera d’arte, rileggo le risonanze sobrie e profonde del prof. Rocco D’Ambrosio e di fra Angelo Minacapilli, che ci hanno introdotti nella bella e complessa domanda proposta dallo studente del IV anno fra Gabriele Graniello.

Tento di rintracciare in sintetici passaggi alcune “frontiere” che il Magistero dei Papi ha “aperto” sulla realtà delle migrazioni. Non è una pura e semplice deontologia religiosa dell’accoglienza, ma una possibilità per approfondire l’ascolto sapiente di una rivoluzione cosmopolita che deve mettere in crisi il nostro modo politico e sociale di affrontare la questione migranti.

Diritto della famiglia ad uno “spazio vitale”

È un’affermazione che Pio XII riprende dalla Rerum novarum di Leone XIII, quando comunica nel Radiomessaggio del 1941 che le famiglie possono cercare «altrove una nuova patria» a causa non solo di regioni con scarse risorse naturali o con un esubero di popolazione, ma soprattutto per lo stesso «diritto della famiglia ad uno spazio vitale». L’audacia di questo messaggio è nell’auspicare che tra il paese di emigrazione e il paese di immigrazione si crei una vera fiducia, in quanto tutti i protagonisti di questo cambiamento, sia luoghi che persone, contribuiranno «all’incremento del benessere umano e al progresso dell’umana cultura». Nel grande manifesto dei diritti umani che Giovanni XXIII ha elencato nell’enciclica sociale Pacem in terris (1963), al n. 12 è esplicitato come «ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse». Tra i segni dei tempi che la società stava vivendo in quel periodo sono nominati l’ascesa socio-economica, la partecipazione della donna alla vita pubblica, l’allargarsi della famiglia umana dove i popoli si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti e, forse per un eccesso di ottimismo, s’intravedeva il dissolversi del complesso di inferiorità di alcuni popoli e del complesso di superiorità di altri, derivante dal privilegio economico-sociale, dal sesso o dalla posizione politica (cf. PT 24).

Doveri connessi con l’ospitalità

Nell’enciclica sociale Populorum progressio, Paolo VI denuncia apertamente che il male del mondo non risiede solo nella mancanza di risorse o nell’egoismo di alcuni potenti, ma soprattutto nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli (n. 65). Egli non teme di richiamare i cristiani ai doveri connessi con l’ospitalità. La sua riflessione sul dovere di solidarietà umana e di carità cristiana, che sorregge il valore intrinseco dell’accoglienza dei migranti, si tinge di una lucida e profetica attualità per cui vale la pena riportare il testo per esteso: «Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzi tutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta “miseria immeritata”. Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali. È doloroso il pensarlo: numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi acquistano certo una formazione di alta qualità, ma finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li avevano visti crescere. La stessa accoglienza è dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po’ le famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale» (nn. 67-69).

Un duplice dovere morale

Per rintracciare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti, papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti ci mette in guardia dalle posizioni di regimi populisti e dalle posizioni di economie liberiste, uniti dalla “chiusura” simbolica di ogni tipo di frontiera (cf. FT n. 37;40). Benedetto XVI coraggiosamente riaffermava il diritto a non emigrare, non nel senso di “non partire” o del luogo comune “aiutiamoli a casa loro”, ma nel senso di creare quelle condizioni per cui le persone possano rimanere nella propria terra e godere delle proprie radici culturali, realtà non resa possibile proprio dai Paesi più ricchi, dalle multinazionali, dai regimi corrotti locali ed internazionali (cf. Messaggio per la 99ᵃ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato). Pertanto a nessuna politica è concesso di seminare «odio e paura verso le altre nazioni in nome del bene del proprio Paese» (FT n. 142). Credo che proprio la cittadinanza di ognuno di noi oggi dipenda dallo spazio politico e sociale riservato a coloro che provengono da altri contesti culturali. Non è un atto di carità accogliere, ma prima di tutto un atto di giustizia.

I verbi della nostra azione

Papa Francesco ha fatto appello alle coscienze di tutti circa il modo in cui i migranti devono essere riconosciuti nella loro dignità, consegnandoci quattro verbi nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Dal punto di vista teologico questi verbi hanno un sapore biblico tutto da approfondire e possono orientare non solo le decisioni politiche internazionali, ma soprattutto il modo di trattare umanamente e giuridicamente le persone che emigrano. Dovremmo riscrivere una teologia dei diritti umani a partire dal paradigma migratorio declinato nell’accezione di quei verbi. E noi nelle nostre comunità cristiane, nelle comunità accademiche, nelle nostre famiglie, cosa potremmo coniugare? Quali verbi dell’accoglienza? Il 13 maggio 2020 nel Messaggio per la 106ᵃ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato Bergoglio lancia una sfida pastorale proponendo sei coppie di verbi che corrispondono ad azioni molto concrete, legate tra loro in una relazione di causa-effetto. Li riporto con il riferimento biblico perché possano essere la nostra partecipazione attiva alla ricchezza delle migrazioni. Potranno ispirare una lettura, una catechesi, una preghiera, una condivisione, un dibattito:

Bisogna conoscere per comprendere (Emmaus Lc 24,15-16)

È necessario farsi prossimo per servire (Samaritano Lc 10,33-34; Gv 13,1-15)

Per riconciliarsi bisogna ascoltare (Nicodemo Gv 3,16-17)

Per crescere è necessario condividere (prime comunità At 4,32; Gv 6,1-15)

Bisogna coinvolgere per promuovere (Samaritana Gv 4,29)

È necessario collaborare per costruire (Paolo 1 Cor 1,10)

Concludo mentre inizio ad ascoltare un’altra opera d’arte di Ivano Fossati del 1992, Mio fratello che guardi il mondo…possiamo tutti sperare quando l’accoglienza sarà come respirare… Se c’è una strada sotto il mare/prima o poi ci troverà/se non c’è strada dentro al cuore degli altri/prima o poi si traccerà.


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