Ascoltare il grido di chi soffre: riflessioni sul fine vita

Antonello Bruno, originario di Martina Franca, dell’Arcidiocesi di Taranto, frequenta il V anno di formazione presso il Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” di Molfetta ed è iscritto all’ultimo anno del ciclo di Baccalaureato in Teologia presso la Facoltà Teologica Pugliese (Istituto Teologico “Regina Apuliae” – Molfetta)

Mi è capitato recentemente di vivere un’esperienza difficile da comprendere e accettare, all’interno della comunità parrocchiale a cui appartengo: un collaboratore che ormai era pienamente e serenamente inserito nella vita di parrocchia, dopo essersi allontanato a seguito di un grave lutto familiare, ha posto fine alla sua vita facendo riferimento a un’associazione in Svizzera che, dopo una lunga prassi, ha concesso l’idoneità alla MAV. Come poter accettare il “bene possibile” di una persona, quando questa considera come unico bene per sé il terminare la vita, soprattutto se questa persona è inserita in un cammino di fede? (Clicca qui per vedere il videomessaggio).

Alla domanda di Antonello, risponde la professoressa Silvia Anelli. Dopo aver conseguito il baccellierato in S. Teologia presso la Pontificia Università Lateranense, ha perfezionato i suoi studi in Teologia morale ottenendo prima la licenza e poi il dottorato presso l’Accademia Alfonsiana di Roma. Ha frequentato anche un corso di Bioetica presso la Pontificia Università Seraphicum di Roma. Diversi i suoi contributi circa il rapporto tra la Teologia morale, le Scienze e il sociale in Tavole rotonde.

Il quesito posto da Antonello Bruno evidenzia le difficoltà che spesso si hanno nel comprendere le motivazioni per cui alcune persone considerano l’eutanasia un’attuazione della libertà di scelta nella gestione della propria vita. Una risposta decisiva o completamente esauriente per fugare le tante perplessità sull’eutanasia credo sia molto difficile, ma è certamente importante valutare le varie cause che sono alla base delle motivazioni di questa scelta. Motivazioni che implicano sia l’ambito antropologico – tale scelta infondo ha in sé un implicito senso di autodistruzione che è in antitesi con la tensione umana naturalmente tesa verso la vita – sia l’ambito mentale poiché può essere rivelatrice della personale difficoltà di affrontare la paura della malattia e di doverne sopportare il dolore nella sua manifestazione fisica e psichica.

Importante è quindi cercare di conoscere le varie sollecitazioni sociali e personali che conducono una persona a formulare le sue teorie a riguardo e poter quindi avere un più appropriato discernimento nel vagliare, in rapporto ad ogni particolare situazione, l’adeguato supporto d’aiuto sia a livello etico-razionale e sia a livello spirituale.

Indagare le motivazioni

A livello etico-razionale, in generale, possiamo considerare quanto il fine vita sia un problema che implica non solo i vari ambiti del sociale, ma anche la realtà della persona nella sua sfera intima e relazionale.

Al significato profondo di libertà, quale consapevolezza della singola responsabilità, si sta spesso sovrapponendo un concetto di libertà inteso come diritto all’autodeterminazione che esclude una completa analisi delle conseguenze private e sociali derivanti da tale comportamento.

Lo standard della qualità della vita è sempre più impostato sulla necessità di conseguire uno status che manifesti un benessere economico e fisico così da sentirsi integrati in certi schemi precostituiti, che sono in qualche modo sollecitazione ad un globale adeguamento del pensiero. Tale atteggiamento, spesso vissuto passivamente sia per timore di critiche sia per facile conformismo, demotiva la persona alla relazionalità, che è incentivo per riflessioni sulle varie realtà della vita, ed anche indebolisce la consapevolezza dell’unicità della propria identità. Un dialogo che non offre un equanime scambio del pensiero, può far nascere nella persona quel senso di solitudine che ne svaluta l’identità e ne sminuisce la sicurezza, non sentendosi compresa o accettata. Solitudine quindi quale anticamera del rifiuto a quella relazionalità dialogica che può offrire risposte ai tanti perché delle difficili realtà quotidiane.

Pertanto un’accoglienza, che sia vera disposizione alla comprensione delle altrui aspettative e/o difficoltà, dovrebbe poggiare sulla conoscenza dell’ambito sociale ed etico in cui la persona vive e da cui ha tratto la sua formazione. Ciò significa considerare oggettivamente le diverse realtà etico sociali per comprendere quanto queste abbiano inciso nella persona nel periodo della sua formazione e quanto in seguito abbiano influenzato le tipologie delle scelte di vita.

A livello puramente spirituale il problema è più complesso e delicato. Ragione e spiritualità sono l’essenza della persona e come tali sono i fondamenti per la formazione del giusto discernimento nelle varie realtà della vita. Al contrario minimizzare l’importanza della loro inscindibilità è a dir poco sminuire la persona della propria identità.  Pertanto, nei difficili momenti della vita, il riavvicinarsi ad un dialogo spirituale indica la necessità di ritrovare il valore fondante l’intima essenza del proprio essere e il supporto della ragione diventa spinta a una più profonda e completa riflessione sulla finalità dell’esistenza. Questo percorso non è facile perché implica un rivedere non solo le cause di alcune scelte, ma soprattutto è il rielaborarne le loro motivazioni.

Offrire un supporto in questo difficile percorso è innanzitutto porsi in ascolto delle parole interiori e non pronunciate dell’altro, ed è anche il non cadere nell’inconscia ricerca gratificante la propria disponibilità o di spostare sull’altro la propria difficoltà; né tanto meno colpevolizzare la persona per non averci dato la possibilità di un auto-compiacimento per il nostro impegno.

Ascoltare per comprendere

Ascoltare non è solo udire parole, ma è porsi in ascolto del significato che le parole tentano di esprimere. In questa ottica cogliamo il significato profondo di essere in empatia: ascoltare anche il silenzio dell’altro e accoglierlo con quella piena carità tesa alla comprensione delle sue difficoltà e delle sue paure.

Quindi non sentiamoci delusi se a volte il nostro amorevole impegno e la nostra buona volontà non apportano l’aiuto desiderato, né ci si può colpevolizzare per questo, poiché la paura della solitudine e soprattutto del dolore, sia fisico che interiore, sono condizionanti e non tutti riescono a sopportare né a sentirsi eroi. Poiché elaborare il dolore o accettarne le conseguenze, specialmente in caso di malattia, necessita di un lungo percorso e di un completo “affidarsi” a chi, in quel momento, si valuta poter dare risposte esaurienti. Tuttavia questo percorso non sempre può essere costante e purtroppo a volte anche ritenuto inutile.

Pertanto l’importanza di valutare in ogni caso le dinamiche della realtà di ognuno, come sopra considerato, è fondamentale così quanto lo è il non desistere, quando richiesto, di porgere aiuto, anche perché si è sempre arricchiti dalle esperienze al di là del loro esito.

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