“Chiesa, chi sei?”. Intervista al Cardinal Mario Grech

 

A cura di Emanuele De Michele

Che momento di Chiesa stiamo vivendo grazie al Sinodo? Qual è il significato ecclesiale di quello che stiamo vivendo?

 

Tutta la Chiesa sta riflettendo facendo un discernimento su che tipo di Chiesa abbiamo bisogno per oggi. Il tema di questo Sinodo è un tema ecclesiologico. Forse possiamo riformulare la domanda così: “Chiesa: chi sei?”.

Quello che dice il Santo Padre è che non serve una Chiesa nuova, ma una nuova Chiesa. Non stiamo inventando niente, ma questo Sinodo è un invito per rivisitare il Concilio Vaticano II, e anche fare qualche passo in avanti.

 

Mi ritornavano in mente le parole di Paolo VI all’apertura della seconda sessione del Concilio: “Chiesa cosa dici di te stessa?”

È la stessa domanda. Sono passati 60 anni, ma è ancora una domanda a cui dobbiamo avere il coraggio di rispondere. E oggi, dopo 60 anni, molte cose sono cambiate. Non perché la Chiesa debba cambiare nella sua natura, ma nel suo modo di rapportarsi all’interno e anche all’esterno.

 

In particolar modo, visto che in uno dei tre istituti sono studenti tutti i seminaristi del Seminario Regionale Pugliese, la domanda è su come è chiamata a cambiare la figura del presbitero e quale deve essere la priorità per un ragazzo, un seminarista in formazione verso il presbiterato.

 

Durante il Sinodo dei Vescovi, il Santo Padre si è interrotto solo tre volte. E la prima volta che ha preso la parola era proprio sulla formazione dei seminaristi, perché questo è un tema fondamentale. Se noi vogliamo una Chiesa secondo il Vangelo e che risponde anche alle esigenze di oggi, il ministero ordinato ha una grande responsabilità. E i seminaristi stanno preparandosi per il ministero ordinato. Allora dobbiamo anche da questa fase di formazione aiutare i giovani a convertirsi sinodalmente. In poche parole cosa vuol dire: che noi camminiamo con il popolo santo di Dio, che nel popolo santo di Dio noi possiamo trovare una fonte anche di Rivelazione, sempre interpretandola alla luce della Parola, della tradizione e del magistero. Se noi riusciamo ad educare il nostro cuore ad ascoltare la voce del popolo di Dio e in modo particolare dei più poveri, avremo l’opportunità anche di capire qual è la volontà del Signore per l’uomo di oggi, ma questo richiede un addestramento. Mi preoccupa il fatto che alcuni dei sacerdoti giovani trovano difficoltà a dare la vita agli altri. Delle volte il nostro comportamento dà a pensare che gli altri sono per noi, invece noi siamo per gli altri. E per questo serve anche una vita spirituale. Dobbiamo stare attenti a quello che il Santo Padre chiama “la mondanità”, perché se siamo allineati a camminare con il Signore poi sapremo anche camminare con il Signore che è presente con l’uomo e la donna di oggi.

 

Quando lei parlava della Chiesa sinodale come una Chiesa inclusiva e come questa sinodalità nasce dall’ascolto, a me colpiva quando diceva che non è la prima volta che la Chiesa si ritrova a far rientrare dentro di sé una parola che generalmente non le appartiene. Come vede questo possibile inserimento? Ho intravisto anche una maggiore esplicazione di quella che è una Chiesa missionaria, che va alla ricerca dei luoghi di esclusione (rapporto tra inclusione e missione).

 

È vero che la parola “inclusione” appartiene al vocabolario laico, ma io di questo non sono totalmente convinto. Se noi leggiamo il Vangelo non troviamo la parola “inclusività” ma troviamo atteggiamenti che non escludono nessuno e quando parliamo di inclusione, cerchiamo di includere tutti, non soltanto i buoni, ma tutti. Come il discorso della pesca, quando i pescatori buttano la rete, prendono tutti, ma poi non sta a noi scegliere, lasciamo nelle mani del Signore. Il giudizio non appartiene a me, a noi, ma al Signore.

 

Se siamo disponibili ad aprire le mani, le braccia, per abbracciare tutti, questo vuol dire che è un impegno missionario. Questo vuol dire che noi vogliamo aiutare l’uomo, non soltanto a far sentire l’abbraccio umano, ma l’abbraccio di Gesù. Non vogliamo far arrivare la nostra parola ma la Parola del Vangelo. Allora certo che la missione è fondamentale. Dovrebbe essere il grido di battaglia che noi non ci stanchiamo mai di cercare le strade e il linguaggio per aiutare l’uomo e la donna a fare esperienza di Gesù.

 

Un’ultima domanda riguarda di più la mia realtà diocesana. In diocesi stiamo vivendo il rinnovo dei consigli di partecipazione. Sarebbe bello sentire da lei qual è la nuova visione del Sinodo su questi strumenti utili alla vita sia delle parrocchie che della diocesi.

 

State facendo una cosa illuminata, necessaria! Perché se stiamo parlando di una Chiesa sinodale, che è una Chiesa che ascolta, anche qui non stiamo partendo da zero. Abbiamo già esperienze di sinodalità che sono i consigli parrocchiali, pastorali, il presbiterio. Queste sono state proposte dal Vaticano II, eppure sono passati tanti anni e ancora fatichiamo per capire il perché. Infatti ci sono parrocchie dove non c’è consiglio parrocchiale, ci sono diocesi…Se tu vai a leggere il documento di sintesi, una delle proposte è proprio di una domanda/richiesta al Santo Padre di far qualcosa per proporre i consigli pastorali come obbligatori, perché sono facoltativi. Allora se voi state facendo questo rinnovo siete sulla strada giusta, ma non basta ricomporre i consigli! Dobbiamo anche imparare a saper ascoltare e valutare i consigli, i pareri di quelli che il Signore mette al nostro tavolo. Perché c’è il rischio che un parroco avrà il consiglio parrocchiale ma porta il programma già pronto e informa soltanto. Ma i consigli fanno parte del decision making che poi arriva al decision taking e lì anche c’è il parroco, il vescovo che ha la sua responsabilità di assicurare che il discernimento ecclesiale fatto in quell’ambito sia un discernimento corretto. La voce del parroco è voce importante ma non è l’unica, va elaborata ascoltando gli altri, e i consigli pastorali e parrocchiali offrono questa possibilità.

 

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