Mostrare la gioia

Gaia De Vecchi, dopo aver conseguito il baccalaureato in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, ha ottenuto prima la licenza e poi il dottorato in Teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi dal titolo Etica o scito teipsum di Pietro Abelardo. Analisi critica di un progetto di teologia morale (pubblicata nella collana delle tesi della PUG nel 2005). Ha ricoperto diversi ruoli di insegnamento in diverse Facoltà Teologiche in Italia. Attualmente insegna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la Pontificia Università Gregoriana di Roma e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano. Inoltre, da molti anni, presta il suo servizio di docenza di religione cattolica presso l’Istituto “Leone XIII” di Milano. È delegata dell’ATISM per la Sezione Nord ed è responsabile del comitato di redazione del blog Moralia.

Nel 2020 sono state censite, in Italia, 1.242.434 coppie conviventi: un numero cresciuto molto negli ultimi anni. Un bambino su tre è figlio di conviventi. Le motivazioni di tale scelta non sono univoche. Sono situazioni note anche agli operatori pastorali: non di rado partecipano ai “corsi prematrimoniali” coppie conviventi da tempo, magari già con prole.

Una ripartenza: la transdisciplinarietà

Amoris laetitia non è un punto di arrivo, quanto un punto di partenza. E si inserisce in quella logica ricordata in Evangelii gaudium che propone di aprire processi più che occupare spazi (cfr. AL 261). Amoris laetitia non ci offre soluzioni pronte, preconfezionate, standardizzate, né per le coppie conviventi, né per altre situazioni, definite di “fragilità” (sostituendo così l’aggettivo “irregolari”, cambiamento non soltanto formale).

Spesso, nel corso della storia della riflessione teologica e nella prassi pastorale, abbiamo ridotto l’annuncio cristiano a morale e la morale alla sessualità (in particolare a casi e norme troppo ripiegati sulla esteriorità, quasi una purità astratta). Siamo sempre anche molto attenti a dei risultati da “quantificare” e poco attenti al “qualificare” i cammini. Dobbiamo, anche noi, emanciparci dalla logica dei numeri, così imperante nella nostra società. Il rischio non infrequente è quello di presentarci alle coppie conviventi con un atteggiamento da proselitismo vuoto, senza farci provocare dallo Spirito e dalla storia (e dalle storie). Dovremmo accompagnare le coppie a percorsi di convinzione interiore non di convenzione esteriore. «Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (cfr. AL 37). E tra le coscienze da formare c’è sempre anche la propria…

Amoris laetitia ci invita piuttosto ad allenare un altro tipo di sguardo. E mi pare sia un invito a un ripensamento non solo di prassi pastorale, ma anche, più profondamente, di ricerca e riflessione teologica. Di fatto viene auspicato un rinnovato percorso di scambio e confronto non solo con il diritto canonico ma anche con la teologia fondamentale, la teologia dogmatica, la teologia biblica…  È necessario un affondo sulla sacramentaria in genere e sulla teologia del matrimonio in particolare. È necessaria una lettura della Bibbia che non vada semplicemente a spigolare i versetti (e citarli al fine di confermare la propria idea), ma abbia uno sguardo globalmente ricapitolativo sul tema della accoglienza, della sequela, della coppia. È necessaria una nuova forma di annuncio che sappia usare un linguaggio e una prassi comprensibili alle persone in cammino. Insomma: non solo la teologia morale è chiamata in causa. A tutta la teologia è richiesto di riflettere in modo interdisciplinare (anche: transdisciplinare) sia ad intra sia ad extra, inaugurando nuove collaborazioni e nuovi percorsi con le altre scienze. E a tutti noi è richiesto di abbandonare la dicotomia dottrina-pastorale.

Un nuovo stile: “tenere i piedi per terra”

Amoris laetitia però mi pare dia anche alcune indicazioni per la riflessione teologico-morale in senso stretto, offerte dallo stile del “tenere i piedi per terra” (cfr. AL 6). La coppia, gli sposi, la famiglia, l’amore tra persone non sono qualcosa di astratto, di immutabile, di statico. Al contrario sono una realtà dinamica, personale e personalizzata.

Si stagliano quindi tre criteri:

  • un discernimento concreto che eviti tanto il relativismo quanto la generalizzazione, l’astrazione, il disincarnare le persone coinvolte (cfr. AL 304);
  • una valutazione del bene possibile, qui e ora, hic et nunc, per evitare perfezionismi irrealisti e il caricare di pesi impossibili le persone (cfr. AL 122);
  • una gradualità concreta e costante che, in un’ottica di conversione, sappia tendere alla pienezza come al compimento finale (cfr. AL 303).

Non si tratta di generare nuove norme o attendersi puntuali vademecum (sia morali, sia di diritto canonico, sia pastorali). Non si tratta nemmeno di cancellare la legge e la sua bontà, quanto di mostrare come «la pienezza della Legge è la Carità» (cfr. Rm 13,10).

Un necessario ripensamento

Dunque: un metodo rinnovato, tre criteri incarnati, che, mi pare, invitino la teologia morale a dedicare più spazio e ripensamento anche a questi due temi.

  • Un nuovo equilibrio tra il fine procreativo e il fine unitivo – quest’ultimo «fin’ora è rimasto in ombra» (cfr. AL 36). Tale equilibrio non sarebbe solo a vantaggio del fine unitivo ma anche di quello procreativo, per non farlo scadere in un funzionalismo.
  • Una rinnovata riflessione sulla donna, che superi modelli patriarcali/sociali desueti (cfr. AL 286) e sappia rendere ragione di una rinnovata teologia della coppia.

Un’ultima annotazione. “Accompagnare, discernere, integrare” sono i verbi comunemente associati alla Amoris laetitia. Ma c’è un altro verbo ripetuto con frequenza: si tratta del verbo “mostrare” ed in particolare si tratta di “mostrare la gioia”.  Non si tratta quindi di insegnare o imporre un’ideale astratto, una concezione “giusta”, ma di mostrare, testimoniare, cammini umani e umanizzanti, attenti e di cura, vissuti quotidianamente nella carne.

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